L’Italia rinuncia per la seconda volta al nucleare

L’Italia rinuncia per la seconda volta al nucleare

Si conferma ancora una volta l’assenza di una politica energetica nazionale

Il senato della Repubblica Italiana approva la definitiva sospensione dell’iter per il ritorno dell’Italia al nucleare, con quest’atto si pone fine a un percorso intrapreso ad inizio legislatura. La definitiva rinuncia al nucleare avviene dopo il disastro di Fukushima, come già era avvenuto nell’86 con il referendum post – Chernobyl. Con quel referendum l’Italia, spinta dall’onda emotiva dopo la tragedia ucraina, abbandonò l’atomo, unico tra i grandi paesi europei. Quella scelta ha provocato conseguenza enorme sul nostro sistema – paese, infatti, l’assenza di una fonte di energia a buon mercato, come quell’atomica, rende le bollette di famiglie e imprese italiane del 25% più care rispetto ai nostri vicini dell’Unione, Germania e Francia su tutti, ma oltre al pesante danno economico, vi è anche la beffa ambientale. Infatti, il nostro paese per sopperire alla mancanza di energia atomica, non ha investito in fonti rinnovabili, ma in centrali a carbone e a oli combustibili (ovvero alimentate a petrolio), che oltre ad essere molto costose, ci rendono schiavi dei paesi produttori di questi beni e sono le tecnologie più inquinanti possibili da utilizzare per produrre energia, quindi con ricadute enormi sulla salute delle collettività dove sorgono tali impianti. Inoltre, attraverso una serie di accordi internazionali, sono sorte una decina di centrali nucleari a ridosso del nostro confine, in Francia e Slovenia, che espongono intera popolazione al rischio di una nube atomico elevatissimo, in caso di disastro. Certo il ritorno al nucleare sembrava un’idea vetusta, partorite da menti vecchie appartenenti ad altre epoche, ma era almeno il segnale di un progetto di politica energetica su base nazionale, se poi uniamo a questo il blocco degli incentivi alle energie rinnovabili, ci troviamo di fronte ad una situazione sconcertante, l’ottava potenza economica mondiale non ha nessun indirizzo politico in tema energetico. Eppure la soluzione sembrerebbe a portata di mano, anche per le menti mediocri che attualmente ci governano, basterebbe investire un miliardo di euro in ricerca per migliorare l’efficienza delle attuali energie rinnovabili, il costo sarebbe ammortizzato tagliando il 5% degli stipendi politici italiani, e imponendo per le nuove costruzioni e per le ristrutturazioni norme di efficienza energetica, come già avviene nei paesi del nord, unite a incentivi. Il costo di questi incentivi non andrebbe a ricadere né sui cittadini, attraverso le imposte, né sul debito pubblico, in quanto sarebbe riassorbito dall’aumento del giro di affari del settore energetico, come già avviene nel mercato dell’auto. Se in fine a ciò si unirebbe energia prodotta da termovalorizzatori e impianti a biomassa, che sarebbero costruiti da privati, quindi senza sacrificio economico da parte dello Stato, ci potremmo trovare a vivere in pochi anni in un paese che paga una bolletta energetica ancora salata, ma più che dimezzata rispetto a quella attuale, e soprattutto priva di quelle enormi ricadute ambientali e in termine di salute, che comportano costi elevatissimi per il servizio sanitario nazionale, in cui oggi siamo costretti ad annaspare. Di ciò, però, si parla assai poco, forse perché le lobby dell’energia andrebbero a perdere miliardi, e anche perché, in un paese dove la politica è sempre attenta all’umore dell’elettorato, al fine di non perdere voti (e solo a quello), cerca sempre la soluzione più popolare, dimenticandosi che il bene dalla collettività deriva anche da scelte coraggiose che possono far perdere voti.

Garofalo Ivano





Pubblicato da Raffaele Cecoro

Raffaele Cecoro ([email protected]) Casertano, laureato in giurisprudenza con una forte passione per la scrittura e per la letteratura. Da qualche mese ha cominciato la stesura del suo primo romanzo e nel tempo libero redige un blog letterario multitematico, il suo stile è un ibrido di humor e serietà.