Attacco di Panico

Attacco di Panico

“Lo ricordo bene quel giorno. Il giorno in cui qualcuno esaudì le mie preghiere e il sole non sorse.
Quella mattina, come al solito ero ancora sveglia dopo una notte insonne.Non me ne accorsi subito, quando lo capii erano le 8 o forse più tardi. Finalmente, il sole era andato a farsi fottere. Mi gustai la tranquillità del momento, sapevo che di lì a poco sarebbe scoppiato il caos. In casa dormivano ancora tutti. Non sapevo quanto ci sarebbe rimasto da vivere, in quel momento neanche m’importava. Cercavo di immaginare i modi impacciati che i miei avrebbero usato per dirci che saremmo morti di lì a poco. Ebbi paura per tutto il tempo, lo ammetto, ma paura del dolore più che della morte. Mi vennero in mente i tuoi occhi, non pensavo ti avrei rincontrato, ti immaginavo aspettare la fine abbracciato a lei. E mi chiedevo se l’amore ci avrebbe seguiti da qualche parte o si sarebbe tutto disperso nel buio dell’universo. Mi sedetti sul divano a gambe incrociate e mi poggia il portatile su di esse, digitai su google: “cosa succede se esplode il sole?” 58.600 risultati. Spensi tutto e andai a guardare alla finestra. Mi misi a ridere, risi, risi, per minuti interi. Mi sembrava tragicomico. Dio avrebbe dovuto rifare tutto daccapo, certo, come consolazione non sarebbe andato perso un gran lavoro. Mi sono augurata che nel suo nuovo progetto, semmai ci fosse stato, avrebbe messo un po’ più di impegno. Poi ho ricominciato a ridere, sapevo bene che dio non esisteva. Guardavo fuori e non vedevo altro che buio, ricordo che l’ansia mi assalì di botto, come faceva spesso, senza che me ne rendessi conto mi misi a piangere a dirotto. Poi come al solito dopo un po’ mi asciugai le lacrime e mi misi a pensare ad altro.
Non ero una di quelle che diceva ogni giorno “che bella giornata” oppure “devo godermi ogni singolo istante” no, a dir la verità ero più una incazzata con il mondo, con quello che ne faceva parte e quello che invece non c’era, ero incazzata e schifata da tutto, tranne che dalla bellezza della natura. Ero fermamente convinta che il male del mondo fossimo noi umani, e mi dispiace sapere che ora, non esiste più niente. Quella mattina comunque scoprii di essere da sola in casa, ho sofferto, non sai quanto. Non so niente del presente. Eppure la mia “vita” di prima la ricordo chiaramente, tranne l’ultimo giorno. Mi sono sforzata, ho litigato col mio cervello, ma niente! Non ricordo niente! E’come se non ci fosse mai stato quel momento di rottura. E’ così la morte? Quando non ti rendi conto di esserlo?


[…]
Da allora non è cambiato molto, ogni tanto il sole torna, per qualche secondo, ma è più un disagio che una fortuna, ogni volta che mi abituo all’idea lui risorge,e il secondo dopo tramonta, portandomi in mente tutti i vecchi ricordi. E’ una punizione, lo so. I primi tempi riuscivo a toccare gli oggetti, ora non più. O meglio ora riesco a capire che è un illusione, che immagino solo di toccare quei fiori, quella tovaglia. E’ tutto nella mia mente, in realtà sono decenni che non mi muovo da questa finestra. Non lo so dove sei, non so se quando ti vedo apparire sei davvero tu oppure un altro scherzo della mia testa morta. Da viva credevo di essere in trappola, mi sbagliavo. Questo è sicuramente peggio. Non c’è paradiso per me, solo un eterno limbo. Lo merito.
[…]
Mi manchi, mi manca tutto, ogni secondo. Non ho più dormito, o forse dormo costantemente. Ogni tanto passa qualcuno da qui, sai? Ho capito però che non posso interagire con nessuno, è come se nessuno mi vedesse, e non capisco perché io sia capace di vedere loro. Per lo più sono ragazzi e ragazze giovani. Un giorno vidi anche un signore che avrà avuto l’età di mio padre credo, mi è rimasta impressa la sua faccia, piangeva e aveva lo sguardo smarrito. Avrei voluto dirgli di non preoccuparsi, che dopo un po’ ci si abitua, ma non ho potuto, camminava piano, come se stremato da migliaia di chilometri. Quel giorno ho pianto. Qui è tutto freddo, ed io ancora non ho dimenticato il calore degli abbracci. L’unica cosa che mi tiene accesa una luce di speranza è il pensare che presto verrai a trovarmi ancora, e tu arrivi sempre nei momenti in cui credo di non farcela. Sei il mio supereroe che arriva e mi salva, mi riporti a galla. Sempre.”
[…]
Quando Michele entrò nella cucina quella mattina la madre capì subito che c’era qualcosa che non andava.
– “Di nuovo?” chiese al figlio quasi sussurrando.
Lui alzò gli occhi da pavimento e la guardò per un attimo, una frazione di secondo, poi tornò a fissare il vuoto chinando la testa.
– “Forse sto impazzendo. E’ sempre lì, le si vedono quasi le ossa, è tutto buio, è sempre tutto buio” farfugliò confuso.
Lei vorrebbe dire qualcosa ma si sente spiazziata, impotente, suo figlio è lì che soffre e lei non puo’ niente. Ogni suo gesto sembra inutile e ininfluente. Ha imparato a convivere con la tristezza, la rabbia, la frustrazione. Il pegno è stato un colorito spento e 20 anni in più sulla pelle.
Ogni mattina Michele si sveglia, e per inerzia scende in cucina, subisce lo sguardo apprensivo e triste della madre, poi prepara lo zaino e va in università, anche quando non ha lezione, senza parlare ad anima viva. Ogni mattina, tranne quelle in cui si sveglia dopo averla sognata. Quando succede va sulla sua tomba e piange per ore, non aveva mai capito di amarla tanto, avrebbe dovuto accorgersene prima, non se l’è mai perdonato. Spesso gli ritorna in mente quel giorno in cui lei gli fece vedere una foto di un artista giovane ma semisconosciuto, in un inglese in bella grafia c’erano scritte due righe su uno sfondo bianco: “Qual’è il momento migliore per dire a qualcuno che lo ami? Prima che lo faccia qualcun altro.” Lei era così, se aveva qualcosa da dire lo faceva, senza mezze misure, nè mezzi termini, era come un uragano di personalità, era prepotente, irruente nel suo modo di essere. Era la cosa che più gli piaceva. Non gliel’aveva mai detto. Lui era diverso da lei, se lo ripetevano spesso a vicenda, nelle discussioni o nei momenti allegri e spensierati.

Michele guarda la foto sul marmo bianco di fronte a sè.
“Quanto mi manchi..” sussurra tra le lacrime.
Si siede dietro la lapide come per poggiarsi alla sua schiena, come facevano spesso quando lei era lì in carne ed ossa.
“Ti amo” gli disse un giorno.
“Anche io ti amo..”
Lei si girò e gli diede un pugno forte sul braccio. “Si, ma io dico sul serio” rispose lei con il broncio. I suoi occhi nocciola brillavano di rabbia e amore nello stesso tempo, lui se ne accorse.
“Cosa vuoi saperne dell’amore tu..” rispose ridendo Michele,per prenderla in giro. Lei si offese per mezzo minuto, poi tornò a ridere e ad appoggiarsi alla sua schiena come se niente fosse successo. Faceva sempre così.

Quei ricordi gli rigano il viso.
“Sono qui, sono qui” ripete. Ma lei non puo’ sentirlo. Tante volte aveva desiderato seguirla, ma non voleva. Sapeva che la morte sarebbe stata fin troppo dolce, e credeva di non meritarla.
“Devo soffrire e pagare qui” si ripeteva sempre.
L’immagine di lei immobile sul pavimento non se la toglierà mai dalla testa, e ogni volta che ci ripensa gli brucia il cuore. Avrebbe dovuto capirlo, avrebbe dovuto fermarla, avrebbe dovuto stringerla e proteggerla. Quel giorno dovevano vedersi, “devo parlarti” le scrisse in un messaggio. Lui non pensava fosse niente d’importante, era di ritorno dall’appuntamento con la sua fidanzata quando lesse, aveva dimenticato il cellulare in macchina, ed erano passate 4 ore dall’invio.
Quando arrivò a casa sua e prese le chiavi dal vaso a destra della porta era tranquillo, non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Era così felice quel giorno.. “Scema! Dove sei?” Le gridò dall’ingresso. Voleva raccontargli quanto era stato bene quel giorno, si erano scambiati gli anelli e credeva di essere così perdutamente innamorato che perfino le parole sarebbero state piccole, inutili…

Quando la vide giacere ai piedi del letto capì immediatamente. Scatole di medicine ovunque e una bottiglia d’alcool vuota a segnare la sua fine.
“Che hai fatto??? Che hai fatto???” gridò buttandocisi sopra. Le controllò il battito dalla giugulare come aveva visto fare migliaia di volte al cinema, eppure quello non era un film. “No, no, no” continuava a ripetersi. La prese di peso e la portò in ospedale, ma era tardi.

“Se fosse arrivato prima..” gli disse il medico con l’aria dispiaciuta dopo 2 ore d’attesa.
“Se fossi arrivato..” ripetè lui con lo stesso tono guardando nel vuoto.
Quella sera torno a casa e sfasciò tutto, prese a calci qualsiasi cosa gli si parava davanti. Lei non c’era più, allora nient’altro doveva esserci. Niente sembrava più avere senso.
Lei c’era sempre stata e lui non aveva mai capito, non aveva capito quanto soffrisse per il suo “non-amore” non aveva quanto soffrisse a vederlo con un’altra. Lui era cieco e non riusciva a perdonarselo.

Poco dopo iniziò a sognarla, sempre nello stesso posto, nel buio più pesto e accanto ad una finestra. Lei lì sorridente come la ricordava e lui che cerca di avvicinarsi senza mai raggiungerla. Sembra così viva nei suoi sogni, eppure non esiste più, e la colpa è sua. Si addormenta sempre con questo stesso pensiero.

Appoggiato al marmo freddo e bianco chiude gli occhi. Buio.

“Michele! sei tornato! Ti aspettavo..”

Marica Esposito



Bomboniere - Per le tue occasioni speciali





Pubblicato da Raffaele Cecoro

Raffaele Cecoro ([email protected]) Casertano, laureato in giurisprudenza con una forte passione per la scrittura e per la letteratura. Da qualche mese ha cominciato la stesura del suo primo romanzo e nel tempo libero redige un blog letterario multitematico, il suo stile è un ibrido di humor e serietà.