DIRETTA Maturità 2012| Prima prova: indiscrezioni, tracce aiuti e temi svolti

DIRETTA Maturità 2012| Prima prova: indiscrezioni, tracce aiuti e temi svolti

Si parte anche quest’anno con la Diretta testuale della Maturità, dopo il grande successo dello scorso anno torneremo in soccorso a studenti, amici e parenti. Mettendo a disposizioni il prima possibile: indiscrezioni, tracce e aiuti per svolgerle.

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Tipologia A – Analisi del testo – Montale: Brano “Ammazzare il tempo” Tipologia B – Ambito artistico letterario – Tema: Il labirinto

Tipologia B – Ambito scientifico – Hans Jonas: “Principio di responsabilità, un’ etica e la civiltà tecnologica”
Tipologia B – Ambito socio-economico – La crisi e i giovani con brani di Steve Jobs | – La mobilità che non c’è, questione di cultura e non di regole
Tipologia B – Ambito storico-politico – Hannah Arendt e sterminio degli ebrei
Tipologia C – Tema di carattere storico – Il bene comune e individuale con brani di D’Aquino e Rousseau
Tipologia D – Tema di attualità – Avevo 20 anni sogni e stili delle nuovi generazioni 


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13.30 Questa diretta testuale della prima prova si conclude qui, speriamo vi sia stata d’aiuto. L’appuntamento è per domani con la seconda prova SEGUITECI!

13.29 Tema svolto “L’olocausto” LINK

13.27 Tema svolto “Giovani e la crisi” LINK

13.25 Tema svolto “Il Labirinto” LINK

12.53 Il caldo torrido non aiuta, ma stiamo lavorando per voi

12.17 Avevo vent’anni … Tema svolto

Durante un afoso pomeriggio di Giugno, sistemando la mia stanza, ho ritrovato la scatola rossa in cui sono conservati tutti i miei ricordi degli ultimi anni di scuola. Nonostante siano trascorsi ormai molti anni da quei tempi, vedere il suo contenuto, ha risvegliato in me emozioni molto intense e contrastanti.
Ho ritrovato i miei diari, dove invece dei compiti, si scrivevano solo dediche e citazioni di film e canzoni ormai quasi dimenticati; ma ho trovato anche quaderni, pagelle e tante, tante fotografie (di quelle sviluppate dal fotografo, non quelle digitali condivise su facebook).
La prima cosa che ho sentito è quella strana sensazione di calore che ti prende allo stomaco e ti sale su fino al cuore, quell’emozione dolce che penso si chiami nostalgia e che ti fa venire voglia di tuffarti in quelle foto per rivivere quegli attimi, i tuoi vent’anni (anno più, anno meno) che adesso ti sembrano così lontani e così belli, come avvolti da un batuffolo di ovatta.
Proseguendo nel mio amarcord e leggendo i miei quaderni personali (ho sempre avuto un debole per la scrittura, ricordo che addirittura volevo scrivere un libro), anche loro stipati nella scatola rossa mi sono resa anche conto che forse allora, questo batuffolo di ovatta non mi sembrava proprio così immacolato come lo ricordo adesso.
Avere vent’anni è un’età bellissima, si è forti e si pensa di poter conquistare il mondo, ma si è anche molto fragili e pieni di incertezze. Ricordo infatti tanti sogni andati in frantumi, un po’ per il normale corso delle cose, un po’ per colpa mia, un po’ per colpa degli altri e i profondi momenti di depressione che seguivano subito dopo.
Per esempio, guardando una foto scattata alla biblioteca comunale della mia città, ricordo con quanta determinazione io e i miei amici affrontammo i giorni che precedevano la maturità: tutti i giorni puntuali ci davamo appuntamento alla biblioteca e ognuno di noi aveva un compito ben preciso che corrispondeva al ripasso di un argomento o materia e poi c’era la fase delle interrogazioni tra di noi, del toto-maturità (non usavamo ancora Internet con assiduità) ma c’erano anche profondi momenti di crisi, dove pensavamo di non farcela, dove prendevamo i libri a testate e sprofondavamo nello sconforto più totale. In uno dei miei quaderni scrissi infatti che alla fine, per quanto andasse male, non sarei comunque morta e che le cose importanti nella vita erano decisamente altre. Leggerlo adesso mi ha fatto sorridere, ma ricordo esattamente quanto sconforto e paura mi dominavano in quei giorni.
Poi, come spesso accade, filò tutto liscio e dopo i festeggiamenti quasi obbligati, passammo ad altre preoccupazioni, che penso siano le stesse che accomunano un po’ tutti i giovani che chiudono il primo grande capitolo della loro vita, la scuola superiore.
Il primo grande dilemma, almeno per me è stato così, era: lavoro o università?E una volta scelto, università o lavoro, ma quali? E come si fa a scegliere? E se sbaglio? Senza contare il nervoso che mi davano gli altri (genitori e insegnanti in primis) con i loro consigli da gente vissuta!
Da un lato infatti, è vero che dopo aver superato lo scoglio della maturità, si pensa di avere il mondo ai propri piedi, ma tempo pochi mesi e ci si accorge che in realtà si è semplicemente arrivati ai piedi di un’altissima montagna (si chiami università o lavoro) da scalare da soli. Spesso infatti ci si ritrova in un’altra città senza nessuno vicino che ci prenda per mano.
All’università è infatti difficile capire come orientarsi tra le affollate aule e la burocrazia, è quasi uno schiaffo in faccia apprendere che per il professore non sei altro che un numero, ti ritrovi libri di 1000 pagine da studiare da solo senza nessuno che ti dice come organizzarti il lavoro, sembra quasi impossibile per chi non ci è ancora passato, ma quasi quasi si rimpiange la vecchia prof di italiano che tutti i giorni ti tirava le orecchie per farti studiare quella poesia.
Se poi si sceglie il lavoro, forse è ancora peggio, bisogna crescere in fretta, si hanno delle responsabilità, le persone si aspettano molte cose da noi.
Io scelsi la via più difficile, come leggo dalla pagine di un mio quaderno, quella di studiare e lavorare insieme, perché una volta uscita dalle scuole superiori iniziai anche a pensare a quanti sacrifici avevano fatto i miei genitori fino ad allora e non volevo più essere un peso per loro, almeno a livello economico. Così mi divisi tra lezioni e lavoro ma nonostante la stanchezza e la frustrazione che a volte si impadronivano di me, non smisi mai di sognare.

12.09  SOLUZIONI DELLE PROVE A BREVE ONLINE

11.50 Il documenti ORIGINALI in PDF LINK

11.49 Analisi del testo svolta

2.1 Quali sono i problemi risolvibili secondo Montale?

Nel brano ogni problema denunciato dai giornali, ogni questione che la società di massa vive con apprensione, con massima preoccupazione, è in realtà solamente una questione effimera, destinata a trovare una soluzione o, per meglio dire, destinata a non intaccare minimamente il nostro mondo il quale, persino di fronte ad una catastrofe nucleare (si parla di un “mondo semidistrutto”) o ad uno sterminio, riuscirebbe comunque a tornare esattamente quello che è in un attimo. Il merito, ma forse sarebbe il caso di dire “la colpa”, dato il tono ironico di Montale, è del progresso, veloce al punto da non conoscere limiti né etici né naturali nonostante lo spirito di conservazione lo rallenti

2.2 Spiega il significato che Montale attribuisce all’espressione “ammazzare il tempo”

Negli scritti di Auto da fé in generale, e in questo in particolare, Montale si scaglia contro il processo scientifico che ha garantito la vittoria dell’homo faber, impegnato sempre nel fare e drammaticamente simile ad una macchina, sull’homo sapiens, il modello a cui bisognerebbe tornare al fine di recuperare i valori profondi e positivi dell’umanità. Ogni qual volta che l’uomo tenta di ammazzare il tempo avalla questo meccanismo di reificazione perché si sottrae ad un momento di contemplazione del vuoto inteso come rapporto profondo con sé stessi e con i propri sentimenti. In pochi secondo il poeta sono in grado di sostenere questo profondo confronto con il proprio Io e per questo la società tende sempre più a proporre soluzioni per impiegare il tempo anche durante i momenti liberi che, così, si trasformano in momenti di svago puro privi di riflessione in modo che “l’uomo si tenga occupato anche quando è convinto di essere libero”. Uccidere il tempo è, quindi, secondo Montale il nostro bisogno ossessivo compulsivo di essere sempre in movimento, un bisogno che, in ultima analisi, ci rende pieni di cose da fare ma vuoti dentro.

2.3 Perché si accrescono i “bisogni inutili” e si inventeranno “nuovi tipo di lavoro inutile”

Per evitare che l’”odiato fantasma del tempo” diventi un ostacolo per la meccanizzazione della vita di cui, invece, il progresso ha follemente bisogno.  Solo generando continuamente servizi è possibile creare bisogni grazie ai quali gli uomini non avvertiranno mai l’imperante mancanza di ideali e di valori creata dal mercato del nulla che si crogiola in questo meccanismo autorigenerante.  Mass media, tecnologia e progresso scientifico formano così un esercito volto a produrre un’inutilità il cui unico scopo è quello di sottrarre l’uomo dalla propria coscienza. La fotografia scattata da Montale è, in questo senso, particolarmente avveduta dato che immortala un meccanismo tipico della società attuale che, dopo aver riempito il mercato di ogni genere di prodotto desiderabile, si è trovata, gioco forza, a dover creare un settore il cui unico scopo è generare bisogni in modo che i prodotti stessi vengano desiderati e venduti.

2.4 Noti nel testo la presenza dell’ironia? Argomenta la tua risposta

Nel brano Montale fa uso di uno stile sottile, per certi versi ironico, specialmente se si fa riferimento all’utilizzo delle parole.  Nei paragrafi iniziali, infatti, scenari apocalittici vengono descritti con un fraseggio tutt’altro che disperato, con una scelta di termini che fa sì che il contenuto allarmista si scontri con la seraficità con cui lo stesso viene proposto. Il risultato è che una vena di ironia pervade così l’intero scritto consentendo al poeta di prendersi sottilmente gioco persino delle prime pagine dei quotidiani pur essendo anch’egli una firma del Corriere della Sera.  È importante specificare, però, che questa leggerezza di fondo non si traduce mai in una visione del presente rassegnata da accettare con un sorriso amaro, ma nella speranza che le sue parole vengano avvertite come un esplicito invito al risveglio dalle coscienze intorpidite.

2.5 Esponi le tue osservazioni in un commento di sufficiente ampiezza

Ciò che colpisce del brano di Montale in questione è la lungimiranza: le sue osservazioni, le sue previsioni, sono tristemente vere, amare cartoline di un passato che era già riuscito a intravedere la degenerazione futura. Dispiace constatare che parole così profonde, calibrate, chiare nello stile e brillanti nell’esposizione, siano effettivamente cadute nel vuoto. Il meccanismo di annientamento della personalità che per decenni è stato presentato come una minaccia sempre più vicina nel corso del Novecento, si pensi anche ai film di Chaplin, e che Montale esprime in questo e in altri scritti di Auto da fé è ormai una triste realtà. La creazione di inutilità, qui denunciata come futura abiutudine,  non solo è all’ordine del giorno ma è la linfa stessa della nostra società che grazie all’effimero produce e si riproduce. I bisogni indotti sono parte della nostra routine al punto che non siamo più in grado di capire da chi o da cosa ci derivano determinati impulsi che ci giungono come istintivi, naturali, senza tuttavia esserlo. Avremmo bisogno di un ammonitore come Montale, di una Firma con la lettera maiuscola che dalle pagine dei giornali non ci illumini solo sulla crisi, sul governo tecnico o sulla pessima qualità dei governi TV, di una firma che spinga spegnere ogni sorta di intrattenimento per vivere, almeno una volta ogni tanto un tempo fatto di vuoto da colmare con i nostri più intimi pensieri.

11.46 I commenti del nostro direttore Raffaele Cecoro: “Tracce abbastanza prevedibili, non particolarmente difficili, consiglio il tema sull’olocausto”

10.52  ATTENZIONE MINISTERO: SIMONCELLI E WINEHOUSE BUFALE Il MIUR smentisce tramite l’agenzia Dire le voci che circolavano in rete su queste ipotetiche tracce. Ci scusiamo per il disagio

10.13 Documenti utili su Arendt e sterminio ebrei Nel 1961 Hannah Arendt seguì le 120 sedute del processo Eichmann (il famigerato criminale nazista) come inviata del settimanale New Yorker a Gerusalemme. Otto Adolf Eichmann (nato nel 1906), era stato responsabile della sezione IV-B-4 (competente sugli affari concernenti gli ebrei) dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich (RSHA), organo nato dalla fusione, voluta da Himmler, del servizio di sicurezza delle SS con la polizia di sicurezza dello stato, inclusa la polizia segreta o Gestapo. Eichmann non era mai andato oltre il grado di tenente-colonnello, ma, per l’ufficio ricoperto, aveva svolto una funzione importante, su scala europea nella politica del regime nazista: aveva coordinato l’organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento e di sterminio. Nel maggio 1960 agenti israeliani lo catturarono in Argentina, dove si era rifugiato, e lo portarono a Gerusalemme. Processato da un tribunale israeliano, nella sua difesa tenne a precisare che, in fondo, si era occupato “soltanto di trasporti”. Fu condannato a morte mediante impiccagione e la sentenza fu eseguita il 31 maggio del 1962. Il resoconto di quel processo e le considerazioni che lo concludevano furono pubblicate sulla rivista e poi riunite nel1963 nel libro “La banalità del male” (Eichmann a Gerusalemme).In questo libro la Arendt analizza i modi in cui la facoltà di pensare può evitare le azioni malvagie. La banalità del male ha accentuato la relazione fra la facoltà di pensare, la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato, la facoltà di giudizio, e le loro implicazioni morali, compiti che sono stati estremamente significativi nel lavoro della Arendt fin dai primi scritti nel tardo 1940 del fenomeno del Totalitarismo. La prima reazione della Arendt alla vista di Eichmann è più che sinistra. Lei sostenne che “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, ne demoniaco ne mostruoso”. La percezione dell’autrice di Eichmann sembra essere quella di un uomo comune, caratterizzato dalla sua superficialità e mediocrità che la lasciarono stupita nel considerare il male commesso da lui, che consiste, nell’organizzare la deportazione di milioni di ebrei nei campi di concentramento. Ciò che la Arendt scorgeva in Eichmann non era neppure stupidità ma qualcosa di completamente negativo: l’incapacità di pensare. Eichmann ha sempre agito all’interno dei ristretti limiti permessi dalle leggi e dagli ordini. Questi atteggiamenti sono la componente fondamentale di quella che può essere vista come una cieca obbedienza. Egli non era l’unica persona che appariva normale mentre gli altri burocrati apparivano come mostri, ma vi era una massa compatta di uomini perfettamente “normali” i cui atti erano mostruosi. Dietro questa “terribile normalità” della massa burocratica, che era capace di commettere le più grandi atrocità che il mondo avesse mai visto, la Arendt rintraccia la questione della “banalità del male”. Questa “normalità” fa sì che alcuni atteggiamenti comunemente ripudiati dalla società – in questo caso i programmi della Germania nazista – trova luogo di manifestazione nel cittadino comune, che non riflette sul contenuto delle regole ma le applica incondizionatamente . Eichmann ha introdotto il pericolo estremo della irriflessività. Ma il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che quei tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. E questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica – come fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni – che questo nuovo tipo di criminale, realmente “hostis generis humani”, “commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male. ” L’analisi delle interrelazioni fra la facoltà di pensare, la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato, la facoltà di giudizio, e le loro implicazioni morali, come detto sopra rappresentano il nucleo tematico dell’opera . A questo proposito la Arendt si è chiesta se la facoltà di pensare, nella sua natura e nei suoi attributi intrinseci, coinvolge la possibilità di evitare di “fare il male”. La banalità del male non è sembrato incorniciare gli standard soliti di male, come patologia, interesse personale, di condanna ideologica di chi lo fa: in questo senso la Arendt si domanda se la dimensione di male è una condizione necessaria di “fare il male”.In altre parole “Il fenomeno del male ha necessariamente una radice desiderata?” Era innegabile che questo nuovo insieme di domande del fenomeno del male, di cui le radici non sono state ancorate negli standard filosofici, morali, religiosi tradizionali, al meno aprirà una prospettiva nuova sul comprensione del male. Tale nozione è stata menzionata da Arendt nelle prime pagine dell’introduzione de “La Vita della Mente”Assistendo al processo Eichmann la Arendt disse: .” mi sono sentita scioccata perché tutto questo contraddice le nostre teorie di male”. La perplessità davanti ad un fenomeno che ha contraddetto le teorie note di male, e la relazione chiara tra il problema di male e la facoltà di pensare, era quello che la Arendt ha espresso con la frase “la banalità del male”. Un accenno alle sue tesi sulla banalità sono presenti ne “Le Origini di Totalitarismo” (1951), il suo primo libro, nel quale sosteneva che l’aumento di totalitarismo era dovuto all’esistenza di un nuovo genere di male, il male assoluto, che, “non poteva essere a lungo spiegato e capito con malvagie ragioni di egoismo, avidità, bramosia, risentimento, sete per potere, e codardia”. Spesso ha detto che la tradizionale comprensione del male non era di nessun aiuto riferita a questa variante moderna, e ha voluto seguire il processo probatorio ad Eichmann , del quale ha riferito per il New Yorker, per confrontare chiarificare le sue idee. Come può dunque la capacità di pensare muoversi in modo da evitare il male? Per prima cosa, secondo la Arendt, gli standard etici e morali basati sulle abitudini e sulle usanze hanno dimostrato di poter essere cambiati da un nuovo insieme di regole di comportamento dettate dall’attuale società. Lei domanda come sia possibile che poche persone non aderiscano al regime malgrado ogni coercizione. A tale domanda risponde in maniera semplice: i non partecipanti, chiamati irresponsabili dalla maggioranza, sono gli unici che osano essere “giudicati da loro stessi”; e sono capaci di farlo non perché posseggano un miglior sistema di valori o perché i vecchi standard di “giusto e sbagliato” siano fermamente radicati nella loro mente e nella loro coscienza, ma perché essi si domandano fino a che punto essi sarebbero capaci di vivere in pace con loro stessi dopo aver commesso certe azioni; e loro decidono che è meglio non far nulla. La Arendt chiaramente presuppone alla facoltà del pensare questo tipo di giudizio. Questa presupposizione non necessita di una elevata intelligenza ma semplicemente l’abitudine di vivere insieme, e in particolare con se stessi, che significa, essere occupato in un dialogo silenzioso tra io e io, che da Socrate è stato chiamato “pensare”. L’incapacità di pensare non è stupidità: può essere presente nella gente più intelligente e la malvagità non è la sua causa, ma è necessaria per causare grande male. Dunque l’uso del pensiero previene il male. Una delle questioni principali della Arendt è il fatto che un’intera società può sottostare ad un totale cambiamento degli standard morali senza che i suoi cittadini emettano alcun giudizio circa ciò che sta accadendo. La Arendt sceglie Socrate come suo modello di pensatore. Una maniera per prevenire il male è come detto sopra rintracciabile nel processo del pensare. Questo pensare per Socrate provoca essenzialmente la perplessità che ha il potere di dislocare gli individui dalle loro regole di comportamento. La capacità di pensare ha dunque la potenzialità di mettere l’uomo di fronte ad un quadro bianco senza bene o male, senza giusto o sbagliato, ma semplicemente attivando in lui la condizione per stabilire un dialogo con se stesso e permettendogli dunque di deliberare un giudizio circa tali eventi. La Arendt sta cercando di evitare l’aderire degli uomini a ogni tipo di standard morale, sociale o legale senza esercitare la loro capacità di riflettere, basata sul dialogo con se stessi circa il significato degli avvenimenti, in altre parole la manifestazione del pensiero è capace di provocare perplessità e obbliga l’uomo a riflettere e a pronunziare un giudizio. La banalità del male che appare attraverso Eichmann rende evidente come il fenomeno del male può mostrare la sua faccia. In un trattato scritto per un dibattito su “Eichmann a Gerusalemme” nel Collegio Hofstra nel 1964, la Arendt ha affermato che banalità significa ‘senza radici’, non radicato nei ‘motivi cattivi’ o ‘impulso’ o forza di ‘tentazione’. La Arendt afferma inoltre: “la mia opinione è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare a radici, ed nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità”… solo il bene ha profondità e può essere integrale.” 

09.54 ECCO i LINK dei documenti

Analisi del TESTO Montale

La mobilità che non c’è

Arendt, sterminio degli ebrei – Giovani e la crisi –  Principio di responsabilità, un’ etica e la civiltà tecnologica

09.50 Ambito socio economico – La mobilità che non c’è, questione di cultura e non di regole.

09.40 TEMA SVOLTO Morte di Simoncelli e Amy Winehouse 

Quasi tutti i ragazzi vedono nello sport un passatempo, un modo per distrarsi dopo una giornata di studio o di lavoro o semplicemente un modo per tenersi in forma. La parola “sport” così come recita il vocabolario è l’insieme di quelle attività fisiche e mentali, compiute al fine di intrattenere chi lo pratica o anche chi ne è spettatore. Essendo esso considerato un intrattenimento, possiamo affermare che lo sport è spettacolo, ed essendoci bisogno il più delle volte di un prestazione monetaria per assistervi, è ovviamente considerato un business. Gli sport e i pericoli che alcuni di essi comportano, sono vari; basti pensare ai piccoli pericoli che incorrono sportivi come calciatori, pallavolisti o ad altri che rischiano di più perchè amanti di sport più pericolosi come la formula uno o la motogp!! Ed è proprio il mondo della motogp che qualche mese fa,a causa di un incidente, ha perso un giovane campione: Marco Simoncelli. Praticare uno sport pericoloso come questo credo che in fondo sia frutto di grande passione e di un pizzico di pazzia. Coloro che nella vita scelgono di fare i piloti, sono ben consapevoli dei rischi che ogni volta corrono. Purtroppo però, la piena consapevolezza di ciò che potrebbe accadere, non è sufficiente ad evitare questi dolorosi epiloghi. Per Marco Simoncelli, correre in moto più che uno sport era una vera e propria carica di adrenalina, una vera e propria passione, coltivata sin da bambino e condivisa da sempre con il papà che era presente ad ogni corsa, sempre li a fare il tifo, pronto a regalare un abbraccio prima di ogni partenza, o una parola di conforto per una gara andata male. Ed era li anche quella domenica sul circuito di Sepang in Malesia, quando il suo campione dopo pochi giri si è schiantato al suolo lasciando così per sempre incompiuto il suo sogno: vincere il mondiale di MotoGP!! Privarsi della possibilità di esaudire un sogno è umanamente impossibile, e se allora alcuni sogni comportano pericoli come questo, cosa si può fare?? Beh si dovrebbe fare il possibile per rendere questi sport più sicuri. A volte però, è il destino a decidere per noi e in quei casi è praticamente impossibile andare contro la sua volontà.Qualche secondo dopo e magari sarebbe andata diversamente, qualche secondo dopo e magari adesso la famiglia Simoncelli e la grande famiglia della MotoGP non sarebbe li a piangere un campione strappato troppo presto da quella che era la sua vita fatta di speranze e sogni per il futuro!

09.34 Pubblicate tutte le tracce in alto, ora stiamo cercando foto dei fascicoli con i documenti! STATE CONNESSI

09.29 Stanno arrivando tantissimi messaggi in Redazione stiamo cercando di dare voce a tutti!

09.26  La traccia Giovani e la crisi esordisce con famosa frase di Paul Nizan: “Avevo vent’anni… Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”, tratta dal libro Aden Arabia. E’ la frase cui si ispirò Fernando Di Leo per il film del 1978 ‘Avere vent’anni’.

09.14 Hannah Arendt e sterminio degli ebrei per l’ambito storico politico

08.58 – Nuove indiscrezioni: Morte di Simoncelli e Amy Winehouse

08.55 MONTALE, LA RESPONSABILITÀ DELLA SCIENZA e I GIOVANI E LA CRISI

08.41 Analisi del testo EUGENIO MONTALE

08.36 Consigli per parenti, amici e fidanzate non bombardateli di messaggi

08.30 La campanella suona, tutti in classe, parte la prima prova!

08.25 Il Ministro Profumo è in diretta su Rai1. Spiega modalità e svolgimento della prova e detta la PASSWORD FEM5L-YX86Z-ZIEM6-95NLW-XXSU7

08.01 – Il MINISTRO PROFUMO DARA’ LE PASSWORD IN DIRETTA TV DA SHANGHAI. ALLE ORE 8.30 su Rai1.

8.00 Si parte! Leggete l’articolo pubblicato ieri sulle possibili tracce, lo trovate in HOME. Nulla di nuovo rispetto a quanto detto ieri. Buona fortuna a tutti coloro i quali dovranno sostenere la prova!






Pubblicato da Raffaele Cecoro

Raffaele Cecoro ([email protected]) Casertano, laureato in giurisprudenza con una forte passione per la scrittura e per la letteratura. Da qualche mese ha cominciato la stesura del suo primo romanzo e nel tempo libero redige un blog letterario multitematico, il suo stile è un ibrido di humor e serietà.