INTERVISTA| Chiara Giacobelli ci racconta il suo romanzo “Un disastro chiamato amore”

INTERVISTA| Chiara Giacobelli ci racconta il suo romanzo “Un disastro chiamato amore”

La scrittrice marchigiana presenta il suo nuovo romanzo (RECENSIONE QUI) rispondendo ad alcune nostre domande.

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1) Ciao Chiara, ormai sei nota ai nostri lettori come una giovane e brillante giornalista che si è dilettata negli ultimi anni a promuovere la sua regione, le Marche, con varie guide e saggi. Ma da qualche settimana c’è una novità per la tua carriera, hai infatti esordito nel mondo della narrativa con il libro “Un disastro chiamato amore” pubblicato da Leggereditore. Questo libro è solo uno step della tua carriera o nei prossimi anni vedremo altri tuoi romanzi in libreria?

A dire il vero io sono nata come scrittrice, non come giornalista. Prima di arrivare a questa importante pubblicazione con un’alta tiratura e un boom di interesse inaspettato per essere un esordio, ho scritto altri romanzi (alcuni terminati, altri no) che non ho avuto il coraggio di proporre a nessuno, pertanto sono rimasti nel cassetto. Ho però pubblicato diversi racconti che hanno vinto premi più o meno importanti. Quindi la risposta alla tua domanda per me è scontata: ci saranno certamente altri romanzi.

2) Quanto del tuo background di giornalista e scrittrice hai portato in questo romanzo?

Molto. In parte l’ho fatto in maniera inconscia, mettendo in pratica ciò che mi è sempre stato insegnato da coloro che considero i miei “maestri”, uno fra tutti Giacomo Scarpelli, sceneggiatore de Il Postino e figlio di Furio Scarpelli. In parte, invece, ho ripreso consapevolmente episodi, aneddoti e fatti privati accaduti a personaggi di rilievo di cui sono venuta a conoscenza grazie appunto al mio lavoro di giornalista e scrittrice, trasportandoli nel romanzo più o meno come sono avvenuti, senza modificarli troppo.
Tra questi, c’è una fuga in Francia e relativo incontro con Pablo Picasso raccontatomi dalla poetessa Maria Luisa Spaziani, l’originale approccio iniziale tra Rossana Podestà e Walter Bonatti, l’infanzia e l’adolescenza di Marta Marzotto, parecchi aspetti della vita di Audrey Hepburn e dei suoi figli, a cominciare dal maggiore Sean Ferrer che ho avuto l’onore di conoscere. Non dimentichiamo inoltre tutto il background legato alla Commedia all’Italiana, comprese le celebri cene da Otello il mercoledì sera da parte dei vari Scola, Monicelli, Age, Scarpelli, Risi ecc.

3) Da cosa trae ispirazione la trama?

La trama è completamente inventata, mentre la protagonista femminile Vivienne è forgiata a mia immagine e somiglianza: casinista, catastrofica, sempre in mezzo a qualche gaffe o figuraccia. Ne ho fatte talmente tante nella vita che sembrava sprecato non raccontarle in un libro, ma da sole non potevano reggere 300 e più pagine; da qui l’idea di intrecciare ad esse una travagliata storia d’amore arricchita da un giallo che mantiene alta la suspence fino alla fine.
In realtà, in questo libro si intersecano due trame che corrono parallele: quella di Vivienne e Alex, contemporanea, e quella dei genitori di Alex, Elisabetta e George, rispettivamente attrice e regista. Mentre la prima storia fila via veloce su una linea temporale continua e cronologica, la seconda si lascia scoprire attraverso salti avanti e indietro, alternando passato e presente, al fine di stimolare ancora di più la curiosità del lettore a fronte di una serie di interrogativi che si aprono pagina dopo pagina, aumentando così il pathos.

4) Vivienne è lo specchio delle tue insicurezze o è un personaggio che racchiude insicurezze generalizzate?

Più che insicurezze, è lo specchio delle mie buffe fobie, del mio catastrofismo cosmico, del mio essere terribilmente maldestra e soprattutto dell’auto-ironia nel prendere me stessa, oltre che la vita in generale. D’altra parte, tantissime lettrici si sono sentite rappresentate da un personaggio come Viv e si sono affezionate a lei per questo, perciò credo che anche la seconda ipotesi sia vera.

5) Non hai mai temuto nel corso della scrittura di trascendere nella banalità?

E’ la mia più grande paura, ma ho avuto modo di imparare in questi anni che tutti gli scrittori sono in fondo un po’ banali, anche i più bravi. L’originalità è solo in parte fonte di un talento innato: senza moltissima pratica, senza maestri, editing, corsi e la tanto cara tecnica è impossibile raggiungerla, ancor meno padroneggiarla.
Da parte mia ho cercato di essere il meno banale possibile; credo di esserci almeno in parte riuscita in quella mescolanza di chick-lit anglosassone leggero e divertente con la profondità culturale europea. Ma non devo né voglio dimenticare che questo è solo il mio primo romanzo, perciò non mi aspetto di aver fatto un ottimo lavoro. Mi basta sapere di aver dato vita a un buon inizio, con potenzialità di crescita davanti a me. Altrimenti dove starebbe il divertimento?

6) Qual è secondo te il confine tra un romanzo d’amore e un “romanzetto” rosa?

Non lo so, è una domanda che mi sono sempre posta e a cui non so ancora dare una risposta. Girerò l’interrogativo alla mia agente! Ad ogni modo, se vogliamo metterla sul basico, direi che il mio romanzo non appartiene alla seconda categoria perché piace tanto anche agli uomini. In generale, è davvero raro che un maschio si perda tra le pagine di un romanzetto rosa 😊

7) Una scrittrice parla al pubblico attraverso le storie che narra, cosa hai voluto trasmettere al pubblico femminile? E a quello maschile?

Due messaggi fondamentali, uguali per uomini e donne. Il primo è quello di non arrendersi, non cedere alla delusione, non smettere di sognare, aver fede nelle infinite possibilità della vita e soprattutto imparare ad accettarsi per ciò che si è, senza per questo evitare di migliorarsi.
Il secondo è un messaggio per me molto importante e si trova tutto racchiuso nella positività del personaggio maschile, che secondo alcuni è esageratamente perfetto. Alex non è affatto perfetto, soltanto che i suoi difetti non sono quelli a cui i nostri occhi e sensi sono abituati: lui è sensibile ma anche fragile; è dolce e protettivo, eppure incapace di ritenersi degno d’amore; è sempre pronto a mettersi in discussione, tuttavia proprio per questo è perennemente autocritico con se stesso, fin troppo.
Il messaggio che ho voluto trasmettere attraverso di lui è quello che possiamo essere persone migliori; ad esempio, possiamo dedicarci alla beneficenza e mostrare reale attenzione per il prossimo, lasciar trapelare i sentimenti senza paura, non scappare di fronte alle imperfezioni o alle incertezze, saperci guardare dentro fino in fondo, là dove fa più male. Magari scopriremo solo allora che uomini così non sono affatto degli alieni… sono solo ciò che potremmo diventare con qualche sforzo in più.
Personalmente sono stanca del classico protagonista maschile affascinante ma egoista e pieno di sé, o al contrario buono nella sua perenne mediocrità che non richiede troppi sacrifici: sarà forse ora che la letteratura cominci a proporre modelli diversi da questi? Non si tratta di buonismo né di utopia, è semplice sensatezza se non vogliamo continuare a vivere in un mondo pieno di guerre, terrorismo, cattiverie, opportunismo e un’enorme mole di ipocrisia per nascondere la falsa felicità delle persone, abituate ad accontentarsi prima ancora di averci provato davvero.

8) Cosa rispondi tu e cosa risponderebbe Vivienne alle domanda: Che cos’è l’amore?

Vivienne: “Gli occhi blu oceano di Alex”
Io: “Qualcosa che parte da se stessi nei propri confronti, e se rivolto all’esterno possiede il potere di cambiare il mondo”





Pubblicato da Raffaele Cecoro

Raffaele Cecoro ([email protected]) Casertano, laureato in giurisprudenza con una forte passione per la scrittura e per la letteratura. Da qualche mese ha cominciato la stesura del suo primo romanzo e nel tempo libero redige un blog letterario multitematico, il suo stile è un ibrido di humor e serietà.