La bambina dalle scarpette nere

Racconto di Felice Castaldo

Mi chiamo Massimiliano D’Errico e tra pochi minuti morirò.
Gli amici mi chiamano Massi per abbreviare il lunghissimo nome che i miei cari genitori nella loro saggezza mi hanno rifilato, “ era il nome di tuo nonno” così diceva mia madre, “beh” rispondevo io “per fortuna non si chiamava Ermenegildo” e a questo punto volava un ceffone, Santa mia madre con la sua educazione meridionale.
Ora sono qui a scrivere con questo dannato portatile, che ormai è l’unica cosa che mi è rimasta in questo buco di stanza, anche il cellulare è andato: credito 0, domani devo fare una ricarica, almeno provo a sentire se Martina, una ragazza del luogo, è libera per le prossime serate. Domani? Prossime? A chi prendo in giro se tra qualche minuto sarò morto.
Che cazzo di serata, qui nel bel mezzo della campagna, lontano da tutto e da tutti per una punizione del cazzo…ah scusatemi avete ragione non vi sto facendo capire niente, ricominciamo da capo.
Sto frequentando il corso per arruolarmi in Polizia, io non volevo farlo ma i miei insistevano e così dato che a Napoli non trovi il lavoro nemmeno se paghi tu a loro, ho deciso di provare a fare il concorso. Ho studiato tutta l’Estate e alla fine sono riuscito a rientrare nei primi trecento, hmpf… come gli Spartani; un po’ di visite mediche ed eccomi qui, Scuola di Bosa in provincia di Nuoro, sottotitolata Scuola del nulla in provincia del niente.
Ieri mi era toccato il turno di notte, l’ultimo servizio prima delle tanto sospirate ferie, una settimana di congedo per le feste natalizie, beh amici avvisati, biglietti prenotati, regali comprati, tutto pronto insomma. Ma durante quel turno di notte qualcosa va storto, stanco della partita di calcio del pomeriggio, annoiato da un film palloso e riscaldato da una piccola stufetta datami in prestito mi addormentai nel bel mezzo del turno. Benché sia grave, quasi tutti sonnecchiano sul turno di notte, l’unica cosa che ti può succedere nella Scuola del nulla in provincia del niente e che ti assaltino l’edificio un gruppo di pecore incazzate perché i pascoli non sono più quelli di una volta!
Così preso dal sonno mi addormento davanti alle telecamere, quando intorno alle sei venni svegliato da una mano grande e forte che prendendomi la spalla mi scuote fino quasi a farmi cadere: “ chi cazzo è” dissi io preso di soppiatto e ancora scosso dal piacevole sonno, “il dirigente” dice lui.
E così eccomi qua punito per una cazzata, tutti a casa tranne Massimiliano D’Errico detto Massi.

2
Era un allucinazione? Questi rumori che vengono dal corridoio cosa diavolo sono?
Avevo appena finito di vedere un film con il mio portatile, mi sono fatto prestare un po’ di DVD da Salvatore detto Quentin, uno strafissato di cinema, beh fatto sta che stasera avevo voglia di vedere qualcosa di mosso, mi capite? Di azione diciamo, qualcosa che non mi faceva venir sonno come l’ultima notte. Prendo il DVD e leggo il titolo “ The descent”, “mah la solita cazzata americana” penso e dopo circa un ora e mezza sono lì a cagarmi sotto dalla paura.
Il telefono squilla e io praticamente balzo in piedi, mi avvicino al cellulare borbottando qualcosa in dialetto “mannaggia a’ miseria, mannaggia a’ mort” e via dicendo, dall’altro capo del telefono vi è Marco, il collega turnista al corpo di guardia, in tutta la struttura siamo rimasti io e lui, è pur sempre Natale sono tutti a casa a godersi le feste con le proprie famiglie, bastardi.
“come va” dice lui, “una meraviglia”rispondo io, “beh” continua lui “almeno tu puoi dormire” e poi scoppia a ridere, “vaffanculo” gli dico io, poi riattacco.
Non mi era nemmeno passato per l’anticamera del cervello di avvisare il simpatico collega che il mio cellulare è morto, a volte sono proprio un idiota, lo diceva anche quella Santa di mia madre.
Comunque decido di mettermi a letto, tanto la serata ormai era rovinata meglio mettersi a dormire, indosso le pantofole, fuori dalle coperte il freddo punge passando tra gli spazi aperti del pigiama, i termosifoni li hanno spenti tre ore fa. Spengo il computer e sprofondo nel silenzio più totale, penso al collega distante un centinaio di metri e mi faccio prendere, vuoi dal silenzio, vuoi dalla notte, vuoi da quel dannato film, dalla paura. Più che altro timore, una strana sensazione come quella di essere osservato. Comunque in bagno ci dovevo andare non mi potevo mettere a dormire con la vescica piena, sono fatto così la devo svuotare altrimenti non dormo, ma quella sensazione sembrava aumentare sempre più, mi metteva a disagio. Ho cercato di tenerla dentro e nasconderla pensando ad altro, ma appena apro la porta della stanza e imbocco l’uscita la sensazione diventa realtà: al di là, in fondo al lungo corridoio intravedo un’ombra, un brivido mi fa rizzare i capelli, la pelle d’oca mi assale come una malattia, rimango muto, in silenzio a contemplare la situazione, riesco solo a pensare “cosa cazzo è”. Allungo la mano sinistra e tocco l’interruttore, i neon si accendono all’istante, ricordo di aver emesso un urlo quando l’ho vista: le scarpette nere, il vestitino rosa intriso di sangue, la mano destra a penzoloni, mentre sul palmo della sinistra portava una palla rossa, il collo pieno di sangue e poi oh mio Dio…era priva…era priva della testa.

3
Ho richiuso immediatamente la porta accendendo la luce nella stanza, ho preso il cellulare in mano ricordandomi poco dopo che il credito era a zero.
“allucinazione?” penso speranzoso “ma non mi faccio da mesi, non mi calo da più di un anno altrimenti non avrei mai passato le visite, mah forse qualche residuo di coca” “non dire stronzate” in me era subentrata la voce della ragione “ ti sei fatto suggestionare da quel maledetto film, non c’è nessun fantasma di nessuna bambina lì fuori, è solo nella tua testa” poi la voce da bambino impaurito “ col cazzo che ci rimetto piede lì fuori”.
Così prendo il portatile e lo riaccendo, trepidando come se non volessi fare altro e una volta avviato inizio a scrivere questa storia. Non avevo mai scritto niente in vita mia, qualche volta lo sfizio mi era venuto magari roba di sparatorie e morti ammazzati ma poi desistevo, “sei sempre stato pigro” diceva quella Santa donna di mia madre. Ma ora tutto è diverso, questa tastiera mi tiene incollato alla realtà, non mi ci fa pensare troppo, se ci penso la mia mente mi saluta e se ne va portandosi dietro la ragione. Io non ci credo in queste cose, non ci ho mai creduto, nemmeno quando in Estate si raccontavano le storie dei fantasmi sulla spiaggia asserendo che era tutta verità, ed io ero il classico rompiscatole che rovinava la storia andando a cercare il punto debole del racconto.
Non so se qualcuno leggerà mai questa roba, anche perché spero che domani mattina sia stesso io a cancellarla, ma il dubbio mi assale, ho una brutta, anzi orribile sensazione, qualcuno la chiamerebbe deja-vu, altri premonizione, ma io sento che stanotte morirò.
Oh cazzo, oh cazzo cos’era quel rumore? Mio Dio sto piangendo, piango dalla paura, ma non voglio staccare, voglio rimanere incollato al computer, voglio scrivere, voglio scriverrrrrrrrre, cosa diavolo era sembrava sembravvvvva una palla, una palla che rimbalza, il suono di una palla che rimbalza, ed era vicino troppo vicino.

4
Sono rimasto senza fiato per un po’, ora mi sono ripreso. Prima, beh prima ero andato in panico, in escandescenza. Ho cercato di non far alcun rumore e ho teso l’orecchio fin dove poteva arrivare e non ho sentito niente, questo un po’ mi tranquillizza ma allo stesso tempo mi mette ansia.
Domani, se arrivo a domani lascio tutto e torno a Napoli, non posso e non voglio passare un’altra notte qui dentro. Voglio vedere l’ora, dimmi che sono le sei di mattina, ti prego, prendo l’orologio e cazzo sono ancora le tre, io non posso, non ce la faccio, devo uscire da qui dentro, devo andare via da questa stanza, ma il terrore mi tiene incollato, non mi muovo da qui stanotte, non me ne vado.
Mi è sembrato di nuovo di sentire qualcosa, forse un suono di passi, piccoli passi veloci che vogliono entrare qui dentro. Penso a tutta la struttura, all’edificio e mi viene male allo stomaco, quante stanze buie e vuote ci sono stasera in questo posto, quanti corridoi lugubri e lunghi, impossibile scappare la vedrei di nuovo e io non voglio.
Mi è venuta un’idea, perché non ci ho pensato prima “perché sei stupido” accanto alla voce della ragione e a quella del bambino impaurito si è associata anche quella di mia madre. Come non ho fatto a pensarci prima, posso fare l’addebito della chiamata con il cellulare, chiamo al corpo di guardia mi risponde Marco, gli dico di venirmi a prendere e poi scappo via da qui, semplice, semplicissimo.
L’euforia è passata, non c’è campo, incredibile c’è sempre stata la linea, fino a cinque ore fa mi hanno chiamato da casa e cazzo c’era la linea, cosa sta succedendo “è una cosa normale” dice la voce della ragione “il campo va e viene, è una questione di onde” “ oppure è la bambina” ribatte la voce da bambino impaurito “è lei che ti vuole tenere fuori dal mondo”.
Di nuovo quel rumore, di nuovo il suono di piccoli passi, questa volta era nitido l’ho sentito, non avrei voluto, ma l’ho sentito e ora ricordo tutto.
La settimana scorsa mi avevano raccontato la storia di questo posto, la Scuola del nulla in provincia di niente, dicevano i colleghi più anziani che circa tre anni fa, o almeno credo, in una delle stanze al secondo piano c’era stato un duplice omicidio. Dicevano che uno degli allievi aveva fatto fuori il Direttore “ e la sua piccola bambina, con il vestitino rosa e le scarpette nere”. I colleghi dicevano che in alcune notti particolarmente fredde si sentivano strani rumori provenire dai corridoi, “sono solo cazzate” dicevo io. Poi il racconto continuava ma non ricordo, non gli avevo dato importanza “perché sei stupido” dice di nuovo la voce mia madre. Un particolare ricordo però, l’allievo era stato punito, proprio come me. Una cosa soltanto era sicura di quella storia, il terribile omicidio, lo sapevano tutti nella scuola, l’Agente Ragusa Daniele in una notte d’inverno aveva lasciato il corpo di guardia e dopo aver rapito la piccola Alessandra per portarla nella stanza del padre, l’aveva uccisa, ma nessuno conosceva bene i particolari “forse le aveva tagliato la testa” dice la voce del bambino impaurito. Successivamente aveva fatto fuori il Dirigente e anche qui tacevano sui particolari e alla fine non contento si era sparato un colpo in testa.
Beh una bella storia, omicidi, fantasmi di bambine morte che girovagano nei corridoi, sensazione di morte che aleggia nell’aria, vaffanculo io esco, sono tutte cazzate, tutte cazzate.

5
Mi sono avvicinato alla porta per uscire, convinto di potercela fare, sicuro di me tiro un forte respiro, come se stessi fumando una canna, lo trattengo e mi appresto ad aprire. Ma appena tocco la maniglia sento di nuovo quell’orribile rumore, non quello dei passi, ma l’incedere battito di una palla che rimbalza, tum…tum…tum ed è lì fuori la porta, il suono proviene da pochi centimetri, se non ci fosse la porta a fare da confine sarei faccia a faccia con quella cosa.
Sono corso di nuovo a sedermi e mi sono messo a contemplare ciò che ho scritto, Dio meglio cancellare tutto o mi prenderanno per pazzo, per uno che vaneggia.
Comunque ho capito cosa vuole quel fantasma da me, vuole vendicarsi certo, vuole che mi tolgo la vita, vuole che la faccia finita così come fece il collega pazzo, ma io non lo sono, io non voglio morire, resterò qui fino a domani mattina e poi scapperò via da questo inferno, non ci voglio più mettere piede, ma quel rumore continua, è imperterrito, regolare, orribile, una cadenza dopo l’altra e il mio cervello inizia ad essere stanco, ho la nausea, ho i capo giri, mi sento di svenire.
– Smettila!!! – Le urlo, ma il rumore sembra aumentare ancora di più, tum…tum…tum…, poi sento una cosa che mi fa raggelare il sangue, una risatina agghiacciante, malvagia, cattiva. Bastarda di una bambina, prendo l’orologio, fai che sono le sei, ti prego, ti prego, saranno passate tre ore da quando…cosa?
L’inferno è qui, la follia è in questa stanza nello stesso momento in cui sto scrivendo, l’orologio segna l’una, ho preso anche il telefono cellulare per controllare meglio e lì immobile sul display l’orario è lo stesso. L’ultima volta erano le tre, ora è l’una, cosa sta succedendo, aiutatemi voci, aiutatemi voi, mi serve quella della ragione dove sei? E tu mamma consolami ti prego, mi vai bene anche tu voce da bambino del cazzo, dove siete andati a finire perché tacete.
– Smettila con questa palla!!! – Ho voglia di finirla, ho voglia di non sentire più niente, posso usare la pistola d’ordinanza è lì sotto al letto, un colpo e non sento più niente, un colpo e finisce tutto, “è quello che vuole lei!” urla la voce della ragione, eccoti qui amica mia.
L’ultima idea, ho riguardato il display del telefono cellulare e lì in bella mostra a caratteri cubitali SOLO EMERGENZA, “questa è una emergenza” dice la voce della ragione.
Prendo il telefono è digito il 113, è fatta, è fatta.
– Aiutatemi sono chiuso in camera, sono un allievo della scuola e pronto? Pronto? –
Il telefono si è spento ma mi hanno sentito, qualcuno aveva risposto e se io ho sentito loro, viceversa hanno sentito me, ora stanno salendo in macchina e stanno venendo a cercarmi, magari fanno una chiamata al corpo di guardia e avvisano Marco, gli dicono di andare a vedere cos’è successo, sì è così, senza dubbio andrà così.
Ho sentito, qualcuno bussa alla porta, il suono della palla rimbalzante sembra essersi fermato, potrebbe essere Marco “oppure quella bambina” risponde la voce da bambino impaurito.
– Chi è? – La mia voce trema, come le mie mani, riesco a malapena a scrivere, ma la risposta che temevo arriva all’istante, di nuovo quella risatina malefica, il leggero bussare si trasforma in un frantuma timpani micidiale, il suono secco, regolare, forte, deciso; “ se continua così” dice la voce della ragione “butta giù la porta”.
E’ arrivata la fine, ora sfonderà la porta ed entrerà, l’anima persa senza la sua testa tenderà le mani e mi afferrerà il collo, sento il suo odore, la sua putrida essenza, è qui, è qui con me. Il suono penetra nel mio cervello, devo spararmi, devo sssspararmi, ho pppaaur, paura, orrrore, orrore, orroe.
Lo vedo, è dietro di me, dallo schermo riesco a intravedere il suo terribile ghigno, ma non è la bambina, è il suo Papà… i suoi occhi vitrei si avvicinano, il suo fiatoo..è dietro di me, la pooorrta si spalanca ennnntra anche lei….freddo…freddo

6
Rileggo la relazione ufficiale scritta da me tutta d’un fiato, la guardo, l’analizzo, è perfetta. Quante cose ho tralasciato, quante cose non ho scritto, mi avrebbero preso per matto e cacciato via in un lampo senza dare troppe spiegazioni, riformato, a casa e tanti auguri.
Sono passati mesi da quella notte, mesi in cui non ho chiuso occhio, mesi in cui non ho vissuto, ci ripenso ed è tutto assurdo, ed ora ho deciso metto tutto per iscritto.
Stavo facendo il turno di notte, un turno relativamente tranquillo, in tutta la scuola era rimasto solo Massi, ragazzo simpatico, schietto, sarebbe potuto diventare un ottimo amico.
Ma torniamo a quella notte, io stavo a telefono con Francesca, la mia ragazza, parlavamo del più e del meno quando intorno a mezzanotte il telefono del corpo di guardia si mette a squillare.
Risposi con il sorriso sulle labbra convinto più che mai che fosse Massi, pronto con le sue battute napoletane.
– Ciao è la sala radio –
Io mi feci serio, era strano sentire la centrale, “cosa sarà successo?” pensai, risposi all’istante cercando di tenere la voce più sicura possibile, mi capita a volte di balbettare quando parlo con qualcuno che non conosco.
– Ciao dimmi tutto –
– C’è qualche allievo lì da voi stasera? –
– Si – Risposi io – Perché?-
– Dovresti andarti ad affacciare un attimo, ci ha chiamato pochi minuti fa – L’interlocutore fece una pausa.
– E allora? – Chiesi io impaziente.
– Non abbiamo capito molto, beh vai a vedere e facci sapere il prima possibile, ah un’ultima cosa portati la radio –
– Ok – Risposi io perplesso, poi provai a fare la prima cosa logica, lo chiamai al telefono, mi rispose una voce metallica:
– Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile –
Riagganciai e presi la radio, pensavo ancora che fosse uno scherzo e quindi me la presi comoda, salutai Francesca, le augurai la buona notte con un paio di paroline dolci che vanno sempre bene e mi portai verso le camerate.
Salii un paio di rampe di scale e venni raggiunto da uno strano rumore, sembrava il suono di un pallone che rimbalza, mi convinsi sempre più che quello fosse un maledetto scherzo. Accesi le luci e avanzai sicuro per il corridoio, svoltai prima a destra e poi a sinistra, ero a pochi metri quando sentii un forte rumore, ma non riconobbi subito il suono, corsi e mi accorsi automaticamente che proveniva dalla stessa direzione della stanza di Massi. Iniziai a correre lungo il corridoio, promettendo a me stesso che se fosse stato uno scherzo l’avrei preso a schiaffi.
Imboccai l’ultimo corridoio e nel momento in cui vidi la porta della stanza spalancata scivolai ruzzolando a terra. Mi rialzai velocemente e notai le mie mani sporche di rosso, abbassai lo sguardo e vidi un lago di sangue, ma non rosso vivo, ricordo che era marrone, appiccicoso, come se fosse stato lì da anni.
Corsi di nuovo verso la camera e iniziai a urlare il suo nome – Massi! Massi! – Entrai all’interno della stanza talmente in velocità che rischiai di cadere di nuovo.
Una puzza repellente, ancora oggi le mie narici sembrano non essersi liberate da quella puzza, odore di morte, mi portai una mano alla bocca pronto per vomitare, ma poi vidi il corpo di Massi accasciato a terra, mi avvicinai subito a lui, ingoiando tutto ciò che mi era salito in gola, controllai il polso, ma Massi era morto, morto stecchito. Mi guardai intorno e una strana sensazione s’impossessò di me, mi sentivo osservato, estrassi la pistola velocemente e puntai dritto verso il corridoio di fronte a me, la tensione era alta come il termometro a ferragosto e la mia mente provò terrore puro, buio, silenzio, sensazione di morte. Dalle tenebre del corridoio arrivò ruzzolando verso di me una pallina rossa, scendeva lentamente, ma veniva giù dritta senza sbavature. Alzai lo sguardo e non vidi nessuno, solo il buio, niente, niente.
Qualcosa in quei minuti s’impossessò della mia anima, del mio volere, iniziai a fare cose strane senza che io lo volessi veramente. Entrai di nuovo nella stanza raccogliendo la piccola palla rosso sangue, mi avvicinai al computer di Massi ancora acceso e salvai il file che trovai in bella mostra sul display, guardai un’altra volta Massi, con altri occhi, non i miei non ero io quello, io non volevo allungare le mani e soffocarlo, non volevo e urlai. Urlai così tanto che sentii i vetri tremare, m’inginocchiai a terra piangendo, ero di nuovo in me, ero riuscito a cacciare quella cosa che era entrata dentro di me.
Andai via da quella stanza e dopo essermi leggermente ripreso chiamai la sala radio:
– Pr pr pronto ce ce centrale – Inizia a balbettare maledettamente, non lo facevo così da anni, da quand’ero piccolo.
Tornai a casa stravolto e misi tutto in ordine, nascosi sia la usb dove era salvato il file, sia la pallina rossa. Non ebbi il coraggio di buttarla via, ora mi domando perché.
Nei giorni a seguire tutto fu portato al limite, domande su domande, relazioni su relazioni, ma alla fine il caso andò nel dimenticatoio, il medico legale aveva dato la sua sentenza Massimiliano D’Errico era morto d’infarto, il terzo in tre anni.
Tre morti all’interno di quelle pareti, tre ragazzi sani e vegeti, che sono morti per infarto, troppi, troppi. La stampa era stata messa a zittire sulla cosa fino a qualche giorno fa, fino a quando nella casa del nuovo Dirigente sono state trovate le ossa di alcuni bambini scomparsi.
Esoterismo e satanismo queste sono state le parole più usate dai giornali per raccontare questa storia assurda, l’uomo è stato arrestato la settimana scorsa e la cosa è troppo correlata a quelle strane morti, ho deciso d’indagare, d’indagare a fondo.

7
Sono tornato da pochi minuti a casa, la mia indagine ha portato i suoi frutti, ora il puzzle è completo.
In questi mesi molte cose sono cambiate, ho lasciato la scuola di Bosa e mi sono trasferito alla Questura di Sassari distante un centinaio di chilometri, mi sono fatto avvolgere dall’indagine abbandonando tutto, pochi giorni fa la mia ragazza mi ha lasciato, i miei genitori non li sento da settimane. Ma nel mio esilio ho trovato le risposte. Con una scusa sono riuscito ad entrare di nuovo nella scuola, con il tesserino del buon poliziotto riesci ad entrare dappertutto e poi tutto sommato ho lasciato un buon ricordo in quell’edificio.
Senza farmi vedere da nessuno sono riuscito ad intrufolarmi nei vecchi sotterranei, dove durante la seconda guerra mondiale i fascisti mettevano gli arrestati politici, all’interno c’erano celle aperte ovunque, un odore nauseabondo, un’atmosfera da incubo.
Poi, poi, libri malvagi, riti orribili, sacrifici, i ragazzi morti erano dei sacrifici a lui, lui solo, l’unico mio padrone.
Cos’è questo suono, è nel mio cervello o è una cosa reale.
Sembra una palla, una palla che rimbalza.





Pubblicato da Raffaele Cecoro

Raffaele Cecoro ([email protected]) Casertano, laureato in giurisprudenza con una forte passione per la scrittura e per la letteratura. Da qualche mese ha cominciato la stesura del suo primo romanzo e nel tempo libero redige un blog letterario multitematico, il suo stile è un ibrido di humor e serietà.