Una passeggiata attraverso le strade di Napoli…

«E’ da tanto che non passeggio per Napoli. Ho voglia di rivedere il Centro Storico.» un sibilo uscì dalle sue labbra, mentre i suoi piedi scendevano le scale di casa, dopo aver preso un giubbino bianco per coprirsi, così, dal venticello che quel giorno rinfrescava l’aria cittadina.

Mentre passeggiava per le strade del centro, Alex poco a poco riassaporava la sua città, la gustava lentamente, calpestando i lastroni di pietra lavica che pavimentano tutte le stradine interne, i vicoli e le vie che, in maniera quasi involontaria, ricalcano esattamente l’andamento dei percorsi di una Napoli antica, assopita tra i meandri della storia del mondo.

Palazzoni vetusti proteggevano quelle strade dai raggi del sole, mentre l’ombra rinfrescava i passanti che godevano della bellezza di una città immortale. Gli occhi del ragazzo si posavano sulle pareti dei palazzi signorili che racchiudevano, come dei guardiani millenari, i segreti di una Napoli celata, solo sporadicamente descritta e raccontata in leggende e storie d’altri tempi.

I suoi piedi lentamente raggiunsero Piazza del Gesù Nuovo e si arrestarono, come a voler concedere ad Alex l’onore di osservare ogni dettaglio di quello spazio, che tante volte i suoi occhi avevano visto, ma mai si erano soffermati a osservare.

Il bianco del marmo di un alto obelisco lottava con l’azzurro del cielo, gareggiando a chi potesse risaltare di più agli occhi dell’osservatore. Adorna di aggrovigliate modanature, di sculture a tutto tondo e medaglioni di santi ed episodi biblici, Alex scrutava la guglia ergersi fiera ed austera al centro della piazza, mentre la statua dell’Immacolata, posta sulla sommità dell’obelisco, osservava tutta la gente che passeggiava ai suoi piedi, attoniti e colpiti dalla sua bellezza.

Il monastero di Santa Chiara chiudeva la piazza a Sud, con i suoi mattoni in tufo giallo e il grande campanile in marmo e mattoni cotti che gareggiava con l’obelisco in altezza. Quanto amasse quei luoghi, persino Alex non riusciva a spiegarselo. Li sentiva dentro, in modo viscerale, quasi appartenessero al suo corpo, come innaturali estensioni del suo essere. Napoli non era una semplice città per lui, ma un organismo vivente e lui era uno dei tanti globuli che riempivano le sue forti e antiche strade, come ingarbugliate vene, che donavano energie ai suoi muscoli malandati e rovinati da anni di noncuranza e negligenza.

Alex sorrideva come un bambino, era felice come non lo era da tanto. Quanto gli era mancata la sua città, quanto aveva sentito la sua lontananza. Lui era un napoletano, questo lo sentiva dentro in modo indissolubile e non avrebbe mai rinunciato alle sue radici per tutto l’oro del mondo. Essere un napoletano non è qualcosa di spiegabile, lo senti dentro e basta, come senti di essere vivo o di esser innamorato e capisci tutto questo solo quando sei lontano dalla tua città e nonostante tutti i suoi difetti inizia a mancarti cosi tanto da starci male. Un napoletano può resistere senza acqua o cibo, ma non può vivere senza il ricordo della sua città e questo Alex lo stava comprendendo a pieno solo ora.

«Puoi togliere un napoletano da Napoli, ma non potrai cancellare mai Napoli dal cuore di un napoletano.» sospirò Alex, mentre i suoi piedi ripresero a camminare sulla strada che divide in due la città.

Luigi Fabrizio