INTERVISTA| Chiara Giacobelli racconta le Marche come non le avete mai viste

INTERVISTA| Chiara Giacobelli racconta le Marche come non le avete mai viste

Intervistiamo la scrittrice e giornalista marchigiana nell’abito dello speciale dedicato alla sua ultima pubblicazione “Forse non tutti sanno che nelle Marche…” [Recensione al LINK]

Chiara Giacobelli in visita al Museo Cinema a Pennello a Montecosaro

Sei già alla tua terza pubblicazione sulle Marche. Oltre ai natali, cosa ti lega a questa terra?

“La conoscenza del territorio, che ormai ho sviscerato in tutti i suoi angoli più reconditi per scrivere non soltanto i libri, ma anche i numerosi articoli usciti in varie testate. E’ semplice per me oggi scrivere in merito alle Marche, perché rispetto ad altri luoghi – il Veneto, ad esempio, che sarà protagonista del mio prossimo “101 cose da fare in Veneto almeno una volta nella vita”, in uscita a primavera sempre per Newton Compton – la fase di ricerca è molto più breve e immediata. Da una parte ciò crea intimità e sintonia tra lo scrittore e i suoi luoghi, dall’altra resta la voglia di scoprire ciò che sta al di fuori dei confini regionali, o che comunque non conosciamo ancora”.

E’ difficile scrivere di un posto in cui si è nati e vissuti senza risultare troppo “promozionali”?

“Oggi non sento assolutamente questa difficoltà: ho iniziato a fare la giornalista piuttosto giovane, appena iscritta all’università, e la prima cosa che ho imparato nelle redazioni dei quotidiani è stata l’importanza dell’essere sempre oggettivi, non di parte; in altre parole, la sospensione del giudizio. Più tardi, la lezione della Commedia all’Italiana appresa grazie alla biografia “Furio Scarpelli. Il cinema viene dopo” – scritta insieme ad Alessio Accardo di Sky Cinema e a Federico Govoni (Le Mani edizioni), con prefazione a cura di Ettore Scola e numerosi premi importanti vinti nel settore della saggistica – mi ha insegnato ancora di più quanto sia fondamentale per l’autore scomparire dietro ai personaggi, ai luoghi, alle storie. Fare proprio tutto ciò significa appunto allontanarsi da una scrittura che possa risultare in qualche modo promozionale o autoreferenziale, sebbene occorrano anni e anni di pratica prima di riuscirci in maniera quantomeno discreta”.

In cosa differisce questa nuova pubblicazione da quella precedente “101 cose da fare nelle Marche almeno una volta nella vita”?

“Sono due libri molto diversi: il primo – di cui è rimasto ormai soltanto l’e-book acquistabile online – è una sorta di guida turistica alternativa piena di spunti su come vivere al meglio questa regione. “Forse non tutti sanno che nelle Marche…” eleva invece il livello letterario, poiché racconta il territorio a partire dalla storia, dalla cultura, dall’arte, da accadimenti reali oppure leggendari. La ricerca è andata dunque più in profondità, i capitoli sono in numero minore ma maggiormente elaborati e anche le collaborazioni di cui mi sono avvalsa sono notevoli: il professor Cesare Catà, oltre ad aver curato la prefazione al libro, si è occupato di alcune parti riguardanti i Monti Sibillini, il maceratese, l’ascolano e il fermano; il giornalista Giovanni Filosa ha preparato un testo sull’attrice Valeria Moriconi e il suo rapporto con Jesi; il promoter del territorio Davide Barbadoro mi ha fornito importanti informazioni sulla zona del Montefeltro. In più, il sostegno dei due sponsor, il Consorzio Vini Piceni e la Confcommercio di Pesaro e Urbino, ha contribuito non poco ad innalzare il livello generale della pubblicazione”.

Hai fatto tesoro di parecchie esperienze in questi anni di viaggi nei borghi più remoti delle Marche. Qual è stata per te la più significativa?

“Ce n’è sempre stata una che mi è appartenuta più delle altre, ben prima che cominciassi a scrivere delle Marche. Gradara è un luogo speciale che porto nel cuore per il semplice motivo che tra i miei sogni nel cassetto c’è quello di scrivere un romanzo storico, passionale e coinvolgente, sulla storia di Paolo e Francesca. A ben pensarci è assurdo che in tutto il mondo si siano realizzati libri e film sulle più celebri coppie di amanti – Romeo e Giulietta, Tristano e Isotta, Lancillotto e Ginevra ecc – dimenticando totalmente due personaggi che hanno invece un ruolo fondamentale in uno dei libri più letti di sempre. Se pensiamo alla Divina Commedia, i primi versi che ci vengono in mente sono: “Amor c’ha nullo amato amar perdona”, riferiti appunto a Paolo e Francesca. Eppure, mancano pubblicazioni divulgative – intendo sottoforma di romanzi moderni – in merito al loro amore meraviglioso e al tempo stesso tragico. Ecco, un giorno vorrei essere io a scrivere quel romanzo”.

Con qualcuno dei posti che citi nel libro hai un rapporto più intimo?

“Direi in generale i Monti Sibillini con le tante leggende che racchiudono: primo perché mi ricordano la mia infanzia e le gite che facevamo quando ero piccola; secondo perché, in questo specifico caso, costituiscono il punto di contatto principale tra me e Cesare Catà, il quale non è soltanto un amico, ma si è dimostrato in questi anni un maestro, un modello, un punto di riferimento, nonché una persona che mi ha permesso di conoscere meglio me stessa in quanto artista e scrittrice; terzo perché sono la principale fonte di immaginazione e fantasia delle Marche, e io sono una persona che non potrebbe sopravvivere senza il costante potere della fantasia”.

Siamo in un ristorante a Porto Recanati, cosa ordiniamo?

“Essendo sul mare direi un piatto di pesce, magari un buon primo. Le Marche sono famose per la loro tradizione culinaria legata al tempo stesso sia al mare che alla terra: ne parlo in un capitolo specifico. Un altro è invece dedicato alla curiosa storia di come sia nato lo Stoccafisso all’Anconitana, pietanza tipica del capoluogo di regione”.

Che sapore e che profumo hanno le Marche?

“Cito dal capitolo sulla Mela rosa dei Sibillini di Cesare Catà: “Nelle Marche esiste una mela molto speciale, la quale secondo la leggenda racchiude in sé qualcosa di unico e fatato. La tradizione narra che se nei mesi di primavera si attraversa la Valdaso, o un’altra delle valli che ascendono placidamente verso i monti Sibillini, non sarà inusuale ammirare alberi di un fiorito colore verde-rosa come pochissimi altri frutteti al mondo possono mostrare, congiuntamente a un dolce profumo inconfondibile. Si tratta delle caratteristiche cromatiche e olfattive della rinomata Mela rosa dei Sibillini. (…) Il suo aspetto è originale, così come il sapore: zuccherina, piccola, irregolare, leggermente schiacciata, con un peduncolo brevissimo e caratterizzata da sfumature che vanno dal verde-bosco al rosa, fino al rosso-vino. (…) Vedendone cosparsi i campi marchigiani, a un primo sguardo i suoi colori confondono la vista, come se il verde delle colline si trasformasse in splendide onde marine striate dal rosa del tramonto e si alzasse per danzare insieme al vento, spargendo il suo profumo nell’aria come farebbe una ragazza scuotendo le chiome dei suoi bei capelli”.

Cinque aggettivi per descrivere i marchigiani?

Mi permetto di prendere spunto anche in questo caso dalla prefazione a cura del professor Cesare Catà, poiché nessuno meglio di lui è capace di descriverli nella loro reale essenza: “I marchigiani sono così: ci caratterizza, per destino, un desiderio assoluto di fuga, di trascendenza, di assoluto, eppure come nessun altro popolo siamo ancorati telluricamente alle cose, alla concretezza della terra. Fantasia e zolle. Colline e ricami di cielo. L’infinito e la siepe. Andare, restare. L’angelo ribelle e i prati”.

Cosa intendi suscitare nel lettore? Mero interesse o vuoi spingerlo a partire?

“Per come sono stata cresciuta e per la mia stessa natura, ritengo che i luoghi – quelli in cui si è nati e cresciuti, al pari di quelli al di là del nostro piccolo mondo – vadano scoperti, sperimentati, approfonditi, svelati. La conoscenza di realtà, culture, avvenimenti, storie e situazioni differenti dalla nostra ci permette di arricchirci come persone. Ben venga dunque la voglia di prendere e partire, che sia soltanto attraverso l’immaginazione, oppure nella realtà dei fatti”.

Saluta i nostri lettori in dialetto marchigiano.

“Questo mi resta difficile, perché ho vissuto in così tante città diverse da aver acquisito accenti e cadenze da ogni dove, perdendo invece a poco a poco il dialetto vero e proprio per sostiruirlo con l’italiano. Posso, però, salutarli con un’ultima citazione, presa anch’essa dalla prefazione di Catà e riferita all’impossibilità intrinseca di Giacomo Leopardi, simbolo delle Marche che appare anche in copertina, di rapportarsi con la sua amata Teresa (per tutti, Silvia): “Avesse, anche solo per un attimo, l’ardire di aprirli quei finestroni del paterno ostello, di guardarla davvero in viso e dirle anche solo “Buongiorno, Signorina!”, per sentirsi rispondere con fiato dolce “Buongiorno, conte!”, allora forse la sua vita sarebbe del tutto diversa…”.





Pubblicato da Raffaele Cecoro

Raffaele Cecoro ([email protected]) Casertano, laureato in giurisprudenza con una forte passione per la scrittura e per la letteratura. Da qualche mese ha cominciato la stesura del suo primo romanzo e nel tempo libero redige un blog letterario multitematico, il suo stile è un ibrido di humor e serietà.

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