LA PROFEZIA PERDUTA DI DANTE: 1° RISTAMPA UNA SETTIMANA PRIMA DALL’USCITA IN LIBRERIA

LA PROFEZIA PERDUTA DI DANTE: 1° RISTAMPA UNA SETTIMANA PRIMA DALL’USCITA IN LIBRERIA

DALL’AUTORE DEL BESTSELLER IL LIBRO SEGRETO DI DANTE, OLTRE 300.000 COPIE VENDUTE

 FRANCESCO FIORETTI RITORNA CON LA PROFEZIA PERDUTA DI DANTE
 
1° RISTAMPA UNA SETTIMANA PRIMA DALL’USCITA IN LIBRERIA!
 
IL GIOVANE DANTE ALLE PRESE COL MISTERO DELLA MORTE DI PAOLO E FRANCESCA

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CHI POSE FINE ALL’AMORE DEI DUE SFORTUNATI AMANTI?
 
Dante ha solo diciotto anni quando si innamora di Beatrice, ma la giovane è promessa sposa a ser Mone dei Bardi. Il loro è, dunque, un amore impossibile. Per distoglierlo dalla sua insana passione, Guido Cavalcanti, amico fraterno dell’Alighieri, lo convince ad accompagnarlo a Bologna, per seguire le lezioni dell’aristotelico fiorentino Taddeo Alderotti. Ma quando i due arrivano in città, Malatesta da Verrucchio, signore di Rimini, li manda a chiamare in gran segreto. Lo spettacolo che li aspetta una volta raggiunto il luogo dell’appuntamento è terribile: due cadaveri abbracciati nel rigor mortis. Sono Paolo e Francesca, trafitti da un unico colpo di spada. Dante e Guido sospettano subito di Gianciotto, marito di Francesca e fratello maggiore di Paolo. Ma il podestà di Pesaro sembra essere ancora all’oscuro di quel delitto. Il Malatesta esorta allora il Cavalcanti, in nome della sua antica amicizia con Paolo, a indagare nell’ambiente fiorentino. Quando era Capitano del Popolo a Firenze, Paolo aveva stretto contatti commerciali con alcuni banchieri fiorentini legati ai Cerchi e ai Portinari. Chi, nella città del Fiore, poteva desiderare la sua morte e quella di Francesca? Sarà Dante a sciogliere l’enigma, prima di immortalarlo nei versi più belli della Divina Commedia.

PER 6 SETTIMANE NELLA TOP TEN DEI LIBRI PIÙ VENDUTI
 
PER 22 SETTIMANE AI PRIMI POSTI DELLA CLASSIFICA DI NARRATIVA ITALIANA
 
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UN ESTRATTO DEL PRIMO CAPITOLO:
   «Ti prego, innamorati di me.
   Racconta al mondo che sono esistita anch’io e che ero bella, i miei occhi aperti come il cielo di maggio sulla collina di San Miniato, sotto laquale andrò a vivere tra breve con un uomo che non ho il diritto, ma solo il dovere di amare, più vecchio di me, ma che di certo, sfiancata dai parti, precederò nella tomba. Di’ parole, se puoi, tu che puoi. Riscatta questa mia esistenza come altre da dimenticare, al fianco di un banchiere che mi ha comprata da mio padre come fossi un cavallo… Fai vivere i miei occhi oltre il fiato di quest’attimo che mi toglie il respiro…
   Puoi coprirti di gloria, dopo, se vuoi, e come vuoi. Puoi affrontarenemici in battaglia, batterti con i guerrieri più feroci e vincerli, in singolar tenzone o nella mischia furibonda di un assalto di cavalleria. O cadere, ma come cadono gli eroi, combattendo fino all’ultimo respiro. Oppure prova a farti largo tra i primi del tuo Comune, prendi le redini del governo cittadino, detta le leggi più giuste che siano mai state scritte, tanto giuste che a nessuno nei secoli venga in mente di cambiarle, così da lasciare di te un segno indelebile nella vita sgangherata di questa nostra città. O, ancora, scrivi un’opera immortale se ci riesci, un monumento di parole che oltrepassino i tempi e si leggano ancora quando tutti noi non ci saremo più, che raccontino alle generazioni che verranno questa nostra era precipitosa e avara… E quando ti chiederanno perché hai fatto tutto quello che hai fatto, perché queste imprese ai confini dell’umano, rispondi pure che fu perché un giorno di maggio hai incontrato Beatrice, Bice di Folco, che era per te la più bella delle donne, e te ne sei innamorato come nessuno di un’altra.
   Dillo pure a tutti che sono io, Beatrice, che ti faccio andare…
   Ti scongiuro, innamorati di me.
   Abbatti montagne, devia il corso dei fiumi, scombina il conto delle ore e dei giorni, ferma il tempo con righe d’inchiostro su fogli porosi di pergamena stantia. Viaggia per territori inesplorati, scala i cieli a uno a uno se puoi, inerpicati sul sapere di tutti i sapienti e giungi ad accarezzare con la mano la materia cristallina dell’ultima sfera. Io sarò là. E con un cenno, uno schiocco di dita, dètta alla storia il suo ritmo, al futuro il suo corso. Scrivi il mio nome, scrivilo ogni volta che puoi su ogni foglio che ti venga alle mani. Io sarò là, ad attenderti, a dire d’averti amato e non aver potuto, la mia anima bianca come una pagina vuota, indifferente alle sorti di un corpo che non m’appartiene, il cui destino hanno deciso altri per me, anche prima che io potessi capire. E d’altra parte, cosa è concesso a me di capire? Che nevica e piove, o c’è il sole sui tetti e le torri al di là dell’Arno, che nulla muta a parte il colore dell’aria nella minuscola porzione di mondo che mi appartiene, incorniciata dagli stipiti di una sola finestra, e che i bambini hanno fame o non ce l’hanno, e le ore scorrono pigre, sbadigli di gatto, in queste giornate tutte uguali, che si sdipanano come gomitoli caduti per sbaglio dalla mia cesta dei sogni incompiuti…
   Ti prego, innamorati di me. E da me non attenderti nulla, perché non c’è nulla che io possa darti davvero. Solo questo ti è dato, che puoi innamorarti di me e per raggiungermi dove non potrai mai trovarmi superare ogni volta te stesso, per poi superarti ancora, e alla fine del viaggio tutto quello che avrai sarà il viaggio, e nient’altro. Non da me ma da te stesso avrai il compenso, se osi, se mi desideri come si aspira a volte senza senso al cielo rosso infuocato di un tramonto, alla luce di un’alba, o a saltare la linea dell’orizzonte fino all’altra parte del mare… Solo questo io posso darti: farti uscire dai confini dell’io a cercarmi oltre e poi oltre. Arriverai forse a sfiorare la mia mano tesa verso di te, ma allora io dovrò farmi improvvisamente da parte, e lasciarti precipitare in avanti col braccio proteso… Perché dietro di me, sia pure sbiadito tra le palpebre lucide dipianto, riuscirai forse a intravedere un rimasuglio d’infinito, qualche residuo irrilevante d’assoluto sfuggito alla distrazione di Dio, e che avanza quaggiù, tra quei tetti sempre uguali, in quel rettangolo di mondo che mi sorprendo a volte a raccogliere negli occhi, per nutrire la mia speranza ogni giorno più vana d’essere viva davvero…».
 
   Non so se i suoi occhi dicessero questo, ma questo è ciò che lui fece. 
   S’innamorò di lei.
   Studiò, più che poté, retorica e filosofia a Firenze, filosofia e medicina a Bologna, per avere più parole di quante gliene offrisse il suo scarno dialetto e poter più degnamente trattare di lei. Fu soldato a cavallo, in prima fila contro gli aretini, e provò tutta la paura del mondo. Fu colpito, in modo non grave, il setto nasale deviato per sempre. Quando lei morì scrisse una lettera in latino ai principi della terra, ai primi cittadini di Firenze, per avvertirli che la sua morte era stata una catastrofe per la cristianità, un evento quasi più luttuoso dellaperdita, allora imminente, della Terrasanta, che di lì a un anno si sarebbecompiuta con la rotta di San Giovanni d’Acri. Firenze è vedova, scrisse, è sola, come Gerusalemme nelle Lamentazioni.
   Nel Comune orfano della sua donna entrò in politica, si batté per le sue idee, a quel che sappiamo difese le istituzioni contro le angherie dei vecchi magnati che minacciavano a ogni passo il governo democratico e contro le ingerenze del papa Bonifacio, che voleva soldati fiorentini a combattere i nemici personali della sua riverita famiglia. Ma non c’erano idee da difendere in circostanze bugiarde come quelle, dove era il potere economico, i grandibanchieri, nell’ombra, a far tutto, a dirigere la politica sulle stesse rotte su cui viaggiavano i loro capitali, tra il Pontefice e la Francia. Pagò un caro prezzo, fu condannato a morte in contumacia, queste cose le sai: fu costretto all’esilio. I tempi erano ancora immaturi per la democrazia, e capì che ci voleva un garante super partes. Si schierò con l’Imperatore tedesco. Scrisse un poema in cui, senza peli sulla lingua, si erse a giudice dell’umanità del suo tempo.
   E subito, quasi all’inizio, c’è scritto: Io son Beatrice, che ti faccio andare…
 
 
Francesco Fioretti è nato a Lanciano, in Abruzzo, nel 1960. È siciliano e apulotoscano d’origine, si è laureato in Lettere a Firenze e ha insegnato in Lombardia e nelle Marche. Nel 2012 ha conseguito il dottorato presso l’Università di Eichstätt in Germania, con tesi in corso di pubblicazione sullo Stilnovo di Dante e Cavalcanti. Ha pubblicato saggi critici e antologie scolastiche. Con la Newton Compton ha esordito nel 2011 con Il libro segreto di Dante, che ha subito scalato le classifiche italiane: è rimasto per oltre 6 mesi tra le prime posizioni nella classifica della narrativa italiana, riscuotendo anche un notevole successo di critica. I diritti di traduzione sono stati venduti in 7 Paesi. Nel 2012 ha pubblicato, sempre con la Newton Compton, Il quadro segreto di Caravaggio.

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NNN 439
ISBN: 978-88-541-5059-1
Pag. 300
PREZZO: 9,90 euro





Pubblicato da Raffaele Cecoro

Raffaele Cecoro ([email protected]) Casertano, laureato in giurisprudenza con una forte passione per la scrittura e per la letteratura. Da qualche mese ha cominciato la stesura del suo primo romanzo e nel tempo libero redige un blog letterario multitematico, il suo stile è un ibrido di humor e serietà.