“Ita fac, mi Lucili, vindica te tibi”

“Ita fac, mi Lucili, vindica te tibi”

Il ruolo e il valore del tempo nella nostra società


Da secoli l’uomo tende a considerare preziosi beni come l’oro, i diamanti, i dollari: beni materiali, che illudono di poterci dare la felicità. Passa la vita affannandosi alla ricerca e alla conquista di questi e, una volta che li ha raggiunti, solo allora si rende conto di quanto in realtà il loro valore sia evanescente e illusorio. Ed è allora che si guarda alle spalle,  pensa al passato, e capisce che una vita passata alla ricerca di questi beni è una vita effimera se non si ha cura del bene più prezioso che l’uomo possa ricevere: il tempo.

Lo avevano capito bene gli antichi: fu Seneca, nella sua prima epistola a Lucilio, a definire il tempo come un bene che “ne gratus quidem potest reddere”, che nemmeno una persona riconoscente potrebbe restituire.  Ancor più interessante è l’esortazione rivolta all’amico, che occupava in Sicilia un’importante e dispendiosa carica: “vindica te tibi”, un’espressione il cui significato potrebbe meglio essere tradotto con “rivendica il tuo diritto su te stesso” o “riscatta te stesso”.  Eppure, sono passati circa 2000 anni, ma queste parole sono drammaticamente attuali. Basti pensare a quanto tempo noi uomini sperperiamo senza battere ciglio: in fila in banca, compilando pratiche per un superiore, sui treni in ritardo.  Un patrimonio immane che ci viene sottratto senza che nemmeno riusciamo a rendercene conto. E così la nostra vita scorre lenta, inghiottita dai piccoli problemi della quotidianità, pensando al lavoro, alla promozione desiderata o alla famiglia, alla casa più grande da comprare, a dove passare le prossime villeggiature. Ci ritroviamo sulla soglia della vecchiaia, terrorizzati dalla paura della morte, pronti a guardarci indietro e a recriminare, e la domanda allora è: che cosa ho fatto della mia vita? Se tornassi indietro cambierei qualcosa?

Siamo figli della nostra epoca, un’epoca frenetica in cui tutto deve essere rapido, in cui anche il solo degustare il cibo a tavola viene giudicato come simbolo di lentezza. Di conseguenza, il nostro interesse, la nostra attenzione è rivolta a quei beni cosiddetti materiali, quei beni che ci assicurano la felicità (o almeno l’apparenza) nell’immediato: gioielli da regalare, uno stipendio più sostanzioso, una nuovissima macchina tedesca, un vestito firmato.  Ci dimentichiamo così l’essenza stessa della vita e il sapore delle piccole cose, come un semplice dialogo con la persona amata, o emozionarsi ancora rivedendo un vecchio film. Perdiamo così la capacità di apprezzare il tempo, e tutto assume lo stesso valore.

Il rimpianto comune è spesso quello di accorgersene troppo tardi, di voler tornare indietro. Ma, secondo Seneca, proprio in questo ci sbagliamo, nel fatto che abbiamo paura della morte e che la vediamo davanti a noi. Essa in realtà si trova alle nostre spalle: ogni attimo passato, ogni momento perso non tornerà mai più e proprio per questo è da considerare “morto”. L’invito che ci pone è quello di ricavare il massimo da ogni singolo istante della nostra vita: solo se siamo padroni del nostro presente non avremo più paura del futuro. Di valorizzare ogni momento, di non rinviare i nostri impegni perché la vita, così come il tempo, non ci può essere restituita. C’è però una precisazione da fare: questo consiglio non è rivolto a vivere in modo sfrenato, in ogni forma godimento e piacere, bensì a seguire una vita virtuosa e a ricavare il massimo da ogni istante che essa ci offre. Insomma, una sorta di “carpe diem”, ma nel senso più accademico. Rinunciare in parte ad essere uomini della nostra epoca, freddi e frenetici, e dare ascolto ai consiglio del passato potrebbe aiutarci a vivere meglio, a mettere a frutto ogni istante della nostra vita.

In questo quadro i beni materiali passano in secondo piano. È inutile possedere un “macchinone” ultimo modello o un vestito firmato se poi non si è in grado di apprezzare il valore di un buon libro o film, o il calore di una giornata con gli amici o con la persona amata. Tutta la ricchezza del mondo non equivarrà mai la bellezza di un quadro né i sentimenti che hanno portato il pittore a dipingerlo. Disse G. Oesterheld nel suo capolavoro, l’Eternauta: “ Che stupidi che sono gli uomini. Preferiscono ciò che è raro a ciò che è bello. Danno più valore a un rozzo pezzo d’oro che alle piume di un uccello o alle foglie di un albero” e inoltre “ Guarda questo tavolo: questo oggetto testimonia secoli e secoli di studi, ingegno e amore. Peccato non avere il tempo di capire perché le gambe sono modellate in questo modo e hanno questa forma”.

In una società frenetica e consumistica come quella in cui viviamo, incapaci di dare il giusto valore alle varie situazioni della vita, un modo per riscoprire la propria essenza potrebbe essere proprio quello che viene dal nostro passato: riscattare se stessi.

Francesco Iannicelli

 





Pubblicato da Raffaele Cecoro

Raffaele Cecoro ([email protected]) Casertano, laureato in giurisprudenza con una forte passione per la scrittura e per la letteratura. Da qualche mese ha cominciato la stesura del suo primo romanzo e nel tempo libero redige un blog letterario multitematico, il suo stile è un ibrido di humor e serietà.